Il “disturbo evitante di personalità” e altri piccoli disagi, ovvero tutto quello che ho imparato durante la quarantena, ma che in realtà lo sapevo anche prima!
Da qualche tempo rimuginavo di scrivere qualcosa per voi, ma l’ispirazione rimaneva sempre incastrata tra le milleeduecentocinquatasettemila cose da fare. Stasera ho deciso di approfittare dell’ultima puntata di una deliziosa mini serie che mi ha sedotto e abbandonato così, a metà serata… troppo presto per andare a dormire ma troppo tardi per cominciarne una nuova.
Premessa: sono una maestra, e per me la quarantena è iniziata il 24 febbraio, il giorno in cui hanno chiuso le scuole. In quel momento ho esultato. Mi sembrava una bellissima notizia mentre rischiavo di perdere un volo internazionale in clamoroso ritardo che mi avrebbe fatto atterrare a Bologna alle 4 di mattino. Di sicuro non sarei riuscita ad arrivare a scuola in tempo la mattina dopo, o quantomeno, non in condizioni accettabili. Insomma, all’inizio ho gioito, lo confesso, e ho approfittato di quelle che mi sembravano poche giornate preziose per rimanere a casa a recuperare un po’ di sonno e di arretrati. Avevo decisamente sottovalutato la gravità della situazione. Anche perché da quando è iniziata la didattica a distanza non ho più tempo di fare niente, sono oberata di lavoro e non ho recuperato proprio un bel niente.
Oltre a questo, sono una persona che AMA stare a casa. Ci sto proprio bene, non soffro l’ansia da abbrutimento, e il pensiero “Oddio e ora che faccio?” non mi ha sfiorato neanche per un secondo. Lo ammetto, sono una di quelle che se non ha voglia di uscire trova mille scuse per potersene stare a casa tranquilla. Quindi, la scusa della quarantena, per me è stata fin da subito una manna dal cielo. Certo, poi la situazione è degenerata… eppure anche oggi, dopo oltre due mesi, non mi pesa stare a casa.
Non mi sono bastati questi 75 giorni di isolamento per rimettermi in pari con tutti gli arretrati, col lavoro, la casa da pulire, con i libri da leggere e i film da vedere. Non sono diventata una casalinga isterica che sforna pane e pizza a tutte le ore, (Pane, yogurt e biscotti li faccio ora esattamente come li facevo prima: quando ho tempo e voglia), e non sono neanche ingrassata più di tanto, considerando che prima mi facevo 20 km in bici tutti i giorni per andare e tornare da lavoro.
Non mi sono improvvisata tuttologa postando ogni serie di videotutorial possibile, né ho condiviso le mie preziose ricette con il mondo intero. Non ho scritto filosofici aforismi zen per ricordare alle persone che si può approfittare di questo momento storico irripetibile – per quanto orribile – per dedicarsi finalmente a se stessi e scoprire che un po’ di sana solitudine può anche far bene se te la sai vivere nel modo giusto. Non mi sono lanciata in disquisizioni da virologa esperta o da ministro dell’istruzione. Nessuna urgenza di esprimere la mia opinione a tutti i costi sui social, né di condividere ogni singolo articolo che ho trovato interessante o divertente. Anche perché, come dice quel genio di Zero Calcare: “Se uno non c’ha un cazzo da dire, esiste il silenzio”. Che poi questo non significa non avere opinioni, eh. Semplicemente evitiamo di affollare inutilmente l’etere e proviamo a parlare di più con le persone reali che ci stanno intorno.
Con un po’ di auto analisi mi sono accorta che probabilmente soffro di un piccolo problemino che si chiama disturbo evitante di personalità, per questo sto tanto bene in quarantena. Wikipedia ci dice che lo stile evitante di personalità (disagio minore che sta a metà tra il sano ed il patologico), si può riconoscere da questi atteggiamenti frequenti:
- Sentirsi a proprio agio con l’abitudine, la ripetizione e la routine;
- Preferire il conosciuto allo sconosciuto;
- Stretta fedeltà alla famiglia e/o a pochi amici; tendenza ad avere la casa come punto di riferimento e di conseguenza uscire poco;
- Sensibilità e preoccupazione circa quello che gli altri pensano; tendenza ad un atteggiamento impacciato ed apprensivo;
- Eccessiva discrezione e prudenza nelle interazioni sociali;
- Comportamento tendenzialmente riservato e autorepresso;
- Tendenza alla curiosità e ad un’attenzione considerevolmente focalizzata sugli hobby e i passatempi.
Bingo! Sono io. Per una volta il disagio si trasforma in vantaggio! Ma prima o poi la quarantena finirà… quindi se anche voi vi riconoscete in questo stato di iper benessere da isolamento, vi consiglio di parlarne col vostro psicanalista.
Anche perché, qualche giorno fa, ho scoperto pure l’esistenza della Sindrome della Capanna o del prigioniero. Ovvero la sindrome delle persone che hanno vissuto sotto stress, ma che hanno gestito talmente bene il confinamento, apprezzando il fatto di avere più tempo per se stesse o per i loro cari, per le quali il ritorno alla normalità genera molto più stress che alle persone normali.
Ringrazio quindi tutti i miei piccoli disagi che in questi mesi di isolamento si sono rivelati dei potenti alleati alla mia stessa sanità mentale, ma se non mi vedete uscire di casa nei prossimi tre mesi, per favore, venitemi a prendere!